Mamma: mio figlio ha 20 mesi e ci sono momenti in cui proprio non lo capisco. Vuole giocare con la cucina ma dopo un attimo si stanca della “sua” e vuole mettersi vicino a me e aiutarmi a cucinare davvero. Ma non smetterebbe mai!! Ho pazienza…ma ad ogni no scatta una crisi isterica! Gli parlo, gli concedo tempo per stare insieme e lo lascio provare. Ma ad un certo punto basta! Devo anche riuscire a preparare la cena e non posso accendere il fuoco con lui che mi sposta i tegami, no!?
Dada: Certo, hai assolutamente ragione. Non tutto deve essere a sua misura, non sempre è il momento per fare insieme. I genitori devono anche ricavarsi degli spazi “privati” o comunque poter gestire situazioni che non sono sicure per i piccoli. Anche al Nido è richiesto il rispetto di uno spazio delle dade. E poi come possiamo altrimenti concedere qualcosa man mano che crescono, per dargli la gioia del diventare più capaci e affidabili? In questi casi un no sereno con una semplice spiegazione, sono l’ideale: “No, adesso vai a giocare un po’ da solo mentre la mamma cucina. Dopo torno da te. Questa cosa non la possiamo fare insieme.”
Mamma: Ma se si butta a terra, se si lancia all’indietro quando lo prendo in braccio o urla e mi impedisce fisicamente in mille modi di cucinare? Non posso ingaggiare una “lotta” ogni volta che devo dare una regola! Anche se gli dico di sedersi, lui si alza e ricomincia. Se provo a distrarlo non serve. Premi, promesse e sgridate hanno un effetto momentaneo… Non ho modo di farmi ascoltare e finisce che uso tutto il tempo per discutere finchè magari scappa la pazienza… e poi ho i sensi di colpa…e a volte non trovo altra soluzione che cucinare con lui in braccio.
Dada: Immagino. La volta dopo sarà anche peggio. Tanto varrebbe non dirgli nemmeno no dall’inizio, almeno c’è coerenza e limitiamo i danni ! In questo modo, però, perdiamo la possibilità di fare le cose serenamente, di preservare i nostri bimbi da situazioni pericolose e mettiamo le basi per una lotta continua. Se vuoi cambiare la situazione, è importante che accetti le sue emozioni. E’ arrabbiato per il tuo divieto.
È normalissimo che reagisca così. Aiutalo a capirsi. L’unico modo per comunicare con un bimbo piccolo è incrociando lo sguardo, quindi prendilo in braccio e tienilo con dolcezza ma con fermezza, dicendo:
“Ti capisco. Adesso sei arrabbiato, va bene così. Mi dispiace che non puoi cucinare con me ma è pericoloso ed io ho bisogno di farlo da sola. Se ti senti triste, se hai voglia di piangere o urlare, fallo pure. Ti tengo in braccio finchè (IO) non sento che stai meglio. Tra le mie braccia puoi fare quello che vuoi. Ma solo qui, al sicuro, con la mamma”. E’ molto probabile che non sarà contento. Che farà di tutto per andarsene cercando di spingerti via. Tieni duro! Abbraccialo e continua a dirgli: “Se ti senti così, fai pure. Ma non sei pronto per tornare a giocare”. L’importante è che tu sia il più possibile serena e non arrabbiata, concedigli di esprimersi senza giudicarlo e non farti “picchiare”. Anche questo è solo uno sfogo ma comunque è utile fermare con dolcezza le sue manine e ricordargli che tu non gli fai MAI male, e quindi nemmeno lui. Quando si sentirà protetto si fiderà abbastanza da lasciarsi andare a piangere o coccolarsi o magari si addormenterà. Quindi puoi dirgli: “Bravissimo!! Sei stato coraggioso. Ora stai meglio, vai pure. Io vado a cucinare poi stiamo di nuovo insieme”.
Questo è il contenimento affettivo così come lo utilizziamo al Nido per rassicurare i bimbi quando le emozioni sono troppo grandi per loro. Con la tua sensibilità di mamma saprai come e quando utilizzarlo per creare quello “spazio” di fiducia totale che è l’abbraccio vero.
Pamela
E’ normale che i bambini facciano cosi’ molti si comportano in questo modo, i bambini riescono anche a individuare le debolezze dei genitori e tendono anche a sfruttarle a proprio vantaggio. Come dice Pamela bisogna avere tanta pazienza e il metodo del contenimento affettivo abbracciando e coccolando il bimbo e’ l’ideale. Spesso pero’ la conseguenza e’ una reazione ancor piu’ isterica. Ci sono momenti in cui il bimbo desidera questo altri momenti in cui il fatto di abbracciarlo lo fa arrabbiare ancora di piu’.
Ci sono tanti approcci all’educazione, io non sono laureato in psicologia ma sono un Fisco e sono molto pratico nelle mie scelte e decisioni. Sono di quella generazione che e’ cresciuta con i no e molti d iquei no mi hanno fatto bene, qualche volta ha avuto sculacciate e magari tirate di orecchie alle scuole elementari dalla maestra. Ho quasi 40 non ho nessun complesso e sto benissimo, e benedico la mia maestra che mi tirava le orecchie, a quell’eta’ capivo benissimo che sbagliavo e la maestra faceva bene a tirarmele!
Hai ragione. Ci sono volte in cui un abbraccio è accolto con soddisfazione ed è un modo per lasciarsi andare. Ed è gratificante per entrambi. Ma nei momenti di “scontro” con le regole e con i no di un genitore o un adulto che si occupa del bimbo, l’abbraccio che contiene e limita i movimenti, impedisce di fare “malestri” o di fare ciò che si vuole, in pratica di imporsi al divieto, è inizialmente vissuto con rabbia. Capisco quando dici che causa un momento di crisi ancora più forte. I primi minuti sono davvero esplosivi e a volte fanno salire il dubbio di star agendo bene. Condivido appieno che i no sono importanti, sani e formativi, e credo debbano essere fatti rispettare con autorevolezza e con amore. Nella mia esperienza di mamma e di educatrice continuo a soffrire la fatica emotiva di rimanere paziente e rassicurante nel contenimento, ma il risultato è uno sguardo di fiducia che permette alla fine di spiegare e far accettare il no e la regola.
Senza che questo scambio sia vissuto come una esperienza di umiliazione o di prevaricazione.
La vecchia “tirata di orecchie” tende a mio avviso, a fissarsi nel comportamento imitativo dei piccoli, come ogni altro gesto compiuto da un adulto importante per lui. E prima o poi proverà a ripeterla a suo modo sugli altri sentendosi autorizzato a farlo.
Sono tutti comportamenti normali per i bimbi piccoli che sono in cerca della strada per crescere e si confrontano continuamente con noi “grandi” per poterlo fare. E aiutarli in questo è sempre impegnativo e coinvolgente.