In questi giorni ci è arrivata questa lettera, scritta da Maria Cristina Sapori, nostra amica. Maria Cristina è uno dei tramiti diretti che ci stanno aiutando nel consegnare ciò che raccogliamo all’Atelier grazie alla vostra generosità.

Vogliamo condividere con voi ciò che ci ha scritto, per rendervi partecipi del toccante resoconto.

Quando arrivo al campo autogestito del paesino di Fossoli  (Carpi), a 14 km. da Cavezzo, trovo bambini, ragazzi, adulti e anche persone anziane. Stanno tutti insieme, sotto un grande tendone bianco, allestito nel cortile della chiesa (nuova) del paese. Se non sapessi cosa è accaduto, a prima vista, penserei ad una iniziativa organizzata da un parroco saggio che vuole creare aggregazione e condivisione fra chi abita lì. Ma osservando meglio, vedo tante tende intorno, tutte diverse, con abiti e scarpe all’esterno,  con persone sedute davanti che parlano fitto fitto  e ragazzi che giocano a palla e mi rendo conto che non si tratta di una giornata di festa, ma di un’emergenza che ha colpito gente piena di dignità, impegnata a ritrovare una difficile normalità, magari senza più una casa, un lavoro e punti di riferimento. Osservo ancora e lo sguardo va alla case del paese: alcune sono intatte, perfette, altre transennate, altre ancora (poche per fortuna) irrimediabilmente dissestate. Crepe grandi, lunghissime, trasversali; pezzi di muro, alcuni mattoni qua e là, per terra: non un paese in rovina, ma tante, troppe ferite a muri che non sono più sicuri. E non siamo certo all’epicentro del sisma! Mentre scruto i visi delle  persone che  ho attorno,  mille pensieri attraversano la mia mente e mi rendo conto di quanto diamo per scontato tutto quello che abbiamo. Ci sembra ovvio avere una casa, dei vestiti, un’occupazione, organizzarci per mangiare una pizza in compagnia o per andare al cinema o a teatro. Per tutti coloro che sono qui non c’è più niente di ovvio, niente di scontato. Molti negozi sono chiusi, tanti non hanno più un lavoro e l’unica occupazione che li tiene impegnati è parlare di quel terremoto che ha sconvolto la loro vita. Non parlano d’altro e temono di essere dimenticati, temono che le promesse non si avvereranno e soprattutto, che la paura provata non si risolverà mai.

Gli anziani fanno tanta tenerezza perchè sono i più smarriti. Non sentono di meritarsi anche questo, soprattutto quelli di loro che hanno  vissuto anche  la guerra. E per fortuna qui non ci sono stati morti, forse neanche feriti… In questo piccolo, produttivo, paesino dell’Emilia, le persone si arrangiano (non c’è la Protezione Civile che pensa loro, perchè, per loro fortuna, hanno subito meno danni di altri paesi), non “piagnucolano” e si lamentano poco. Chiedono solo di tornare a vivere come prima, di lavorare, di riavere una casa. E hanno voglia di ricominciare…

E’ importante continuare a pensare a loro, anche concretamente. La gestione quotidiana ormai è assicurata, il futuro no. Hanno bisogno di soldi per ricostruire e so che ogni comune ha aperto conti correnti, dove sperano arrivino tanti soldini proprio per loro, per le loro case, per le loro scuole, per i loro luoghi di lavoro.

Qui, in particolare, non chiedono più vestiti  (gliene sono arrivati tanti) e ogni settimana tante associazioni di occupano di far sapere ciò che  occorre di più (cambia sempre). Ringrazio di cuore tutti voi che avete contribuito a farli sentire ricordati e amati.

Ne hanno un profondo bisogno. Chiedono poco, hanno già rialzato la testa.

Mi accorgo, però, se ascolto e guardo col cuore, che hanno tanta tanta paura e, forse, nel loro profondo vorrebbero piangere e rifugiarsi fra le braccia di una mamma e sentirsi dire “stai tranquillo, è stato solo un sogno”. Ma un sogno non è stato, è tutto, tristemente vero. La vita continua e anche una tragedia come questa porta un dono: ci ricorda quanto sia importante vivere ogni giorno con presenza, amore e gratitudine e dare valore a ciò che di valore ne ha tanto: l’amicizia, la famiglia, la Vita.

Ancora grazie a tutti.

Maria Cristina Sapori

P.S. Ho fotografato solo il campo autogestito, perchè fotografare le loro case mi sembrava una violenza.